Alessandro Oppes
I l ragazzo carioca di classe media, il giovane studente di matematica che sognava — da grande — di poter comprare un distributore di benzina per potersi garantire una vita moderatamente agiata, ha raggiunto l’obiettivo. Ma l’ha moltiplicato per mille. E poi per mille volte ancora. Nello smisurato portafoglio di attività controllate da André Esteves, oggi 46enne, ci sono anche — sia detto per inciso — un buon pacchetto di «postos de gasolina », distributori appunto. Più di 120, dove commercializza 400 milioni di litri di combustibile l’anno da quando, nel 2008, ha acquisito il controllo di Derivados do Brasil, uno dei giganti del settore. Ma queste sono minutaglie nella parabola ascendente, e inarrestabile, del finanziere al quale la classifica di Forbes assegna il dodicesimo posto tra i ricchissimi del gigante sudamericano, con una fortuna che supera abbondantemente i 3 miliardi di euro. Il fondatore e presidente (e maggiore azionista) del banco d’investimenti Btg Pactual non si accontenta di aver fatto della sua creatura uno degli istituti finanziari più solidi del continente latino- americano. Il nuovo obiettivo, quello di diventare un «player globale» in grado di competere, in futuro, con i più grandi del mondo, è già sotto gli occhi di tutti, in Europa, in Italia. Dopo aver aperto le porte, nel 2010, all’ingresso nel capitale della sua banca d’affari alla Exor di John Elkann (uscito poi due anni fa dopo la quotazione di Btg alla Bovespa di San Paolo), Esteves ha volto stabilmente lo sguardo negli ultimi tempi verso il Bel Paese. Togliendosi prima uno sfizio con l’acquisto (per 40 milioni di euro) di una delle più belle tenute del Brunello di Montalcino, quella di Argiano a Sant’Angelo in Colle. Poi, per restare in zona, comprando il 2 per cento di Montepaschi dalla Fondazione Mps. E mentre si consolida la prospettiva dell’ingresso in Banca Carige, ecco il colpo grosso: l’accordo con Generali che cedono ai brasiliani la Banca della Svizzera Italiana (1,24 miliardi di euro). Se c’è una nota stonata, nel grande attivismo in terra italiana, è quel neo rappresentato dalla multa imposta due anni fa a Btg dalla Consob per insider trading sull’acquisto di azioni di Cremonini. Un sospetto, quello di sfruttare informazioni privilegiate, che peraltro perseguita da tempo il finanziere anche in patria, dati i suoi rapporti ad altissimo livello nei palazzi del potere di Brasilia, ai piani nobili dei grandi blocchi di cemento bianco della Esplanada dos Ministerios, tra titolari dell’Economia vecchi e nuovi. Ma lui, al solito, non fa una piega. Voci, messe in giro da rivali invidiosi, sentenzia. Aggiungendo: «Cadê o fato?», dove sono i fatti? Per Btg Pactual — 1500 dipendenti e uffici in Brasile, Cile, Colombia, Perù, Usa, Regno Unito e Hong Kong — l’operazione Bsi è insieme una scommessa e un nuovo trampolino di lancio nella sua strategia espansionistica alla quale non risulta abbia posto limiti precisi. Con un occhio alle privatizzazioni italiane e alle «opportunità interessanti che si sono aperte» in Spagna, Portogallo e Grecia. Tutti paesi nei quali assicura di voler smentire la sua fama di operatore puramente speculativo, interessato a monetizzare in un paio d’anni i nuovi affari per poi abbandonare il campo. Dubbi che lo accompagnano anche nella sua frenetica attività finanziaria in Brasile, dove è socio di oltre 25 società, con un’azione aggressiva basata su cinque pilastri fondamentali: private equity, mercato immobi-liare, infrastrutture, risorse naturali (miniere) e foreste. Il fatto è che, come gli piace ripetere, «il nostro è un banco d’investimenti che investe». Anche troppo, stando ai suoi detrattori. Perché con la smania di ampliare sempre di più i propri orizzonti imprenditoriali, ha finito per cacciarsi più di una volta in situazioni difficili da gestire. Il piano di salvataggio elaborato da Btg Pactual per il gruppo Ebx di Eike Batista (il magnate che puntava a diventare l’uomo più ricco del mondo ed è finito sull’orlo della bancarotta) non ha portato i risultati sperati. Tra le operazioni controverse, anche l’acquisto del Banco PanAmericano dall’imprenditore e celebre presentatore televisivo Silvio Santos, che dopo tre anni non dà ancora utili, e l’avventura Brazil Pharma, la quarta rete di farmacie del paese, in controtendenza rispetto ai principali concorrenti, tanto che ha chiuso il 2013 in perdita. Ma quello che conta sono i risultati complessivi dell’impero Esteves. Lusinghieri a tal punto che The Economist si è chiesto se la sigla Btg non possa essere in realtà tradotta come «Better than Goldman» e anche il Financial Times ha definito la banca d’affari come la «Goldman Sachs tropicale, con una dose di cachaça» (la materia prima necessaria per preparare la caipirinha). Lui incassa lusingato, ma rincara: «Il paragone mi onora. Oggi penso che sarebbe da arroganti dire che siamo migliori di loro. Ma posso assicurare, senza timore di sbagliare, che non siamo peggiori». Già, quella sigla: Btg. Che si può tradurre in due modi. Uno, quello ufficiale, che è Banking and Trading Group. Ma poi c’è l’altro — «back to the game» — che sintetizza la voglia irresistibile di André Esteves di rimettersi nuovamente in gioco nel momento in cui, nel 2009, lanciò l’operazione che l’avrebbe proiettato verso l’élite della finanza brasiliana. Un percorso che viene da lontano, che parte dal giorno stesso in cui, giovane studente di matematica alla Ufrj (Universidade Federal do Rio de Janeiro) il ventenne André lascia l’ateneo dove lavorava anche come informatico e accetta un posto da stagista nel banco Pactual, del quale fino ad allora non conosceva neppure l’esistenza. La madre, docente universitaria di psicologia, gli pose la domanda chiave: «Meu filho, ma tu ti fidi dei banchieri?». L’entusiasmo spazzò via ben presto i dubbi, ma quella domanda deve aver continuato a ronzargli per la testa a lungo, se è vero che anche oggi, da finanziere più che affermato, continua a pretendere che lo definiscano «imprenditore» piuttosto che «banchiere». Il ragazzo aveva una voglia matta di emergere tanto che, da praticante informatico, punta presto a entrare nell’area operativa dell’entità finanziaria. Accompagna il lavoro con gli studi di economia e in un baleno diventa uno dei funzionari più in vista di Pactual. Nel ‘93, a 25 anni, è già socio della compagnia. Ma non è che l’inizio. Sei anni più tardi approfitta di divergenze di strategia con l’azionista principale della banca, Luiz Cesar Fernandes (lo stesso che l’aveva contrattato nell’89) per fargli lo sgambetto e costringerlo a cedere la sua quota. E quando, nel 2006, il banco d’investimenti viene acquistato dagli svizzeri di Ubs, Esteves fa il primo grande salto diventando il Ceo di Ubs Pactual. Ancora uno scalino, verso un’ascesa irresistibile. Perché trascorrono solo due anni ed Esteves, in piena crisi finanziaria internazionale, tenta con l’aiuto di altri banchieri brasiliani la scalata a una Ubs in grande difficoltà. Il vertice dell’istituto elvetico non apprezza la mossa. E lui se ne va sbattendo la porta. Ma ritorna. E’ infatti a quel punto, cinque anni fa, che crea Btg. «Back to the game», appunto. Ritorna pienamente in gioco, tanto che una delle sue prime operazioni è quella di ricomprare Pactual da Ubs. Un’ambizione senza limiti. Anche se, assicura, «non ho nessuna intenzione di diventare l&rsq
uo;uomo più ricco del mondo». Bisognerà credergli? Nel disegno, André Esteves visto da Dariush Radpour Nel grafico, l’andamento del titolo di Btg Pactual alla Borsa di San Paolo del Brasile